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THE MISSION

Una Storia di Guerra:

Settimio Passeri

Nei mesi in prossimità dell’esame di Stato sono stato nella casa in campagna del mio bis-nonno Settimio Passeri. Nacque il 16 aprile 1922 in una famiglia di contadini, nel pieno della sua giovinezza è costretto a partire per la leva militare a Chieti con il padre, lascia la famiglia senza la manodopera. Proprio a Chieti verrà addestrato al combattimento e conoscerà diversi dei suoi compagni e amici, proprio due di questi ultimi, tra i più cari, saranno mandati a combattere la campagna di Russia, non torneranno mai, probabilmente uccisi dai nazisti. Successivamente sarà spostato a Caserta dove gli sarà chiesto di vigilare sui cittadini. Ai principi di dicembre del 1940 verrà spostato a Palermo e imbarcato verso le colonie del Corno d’Africa, in particolar modo verso il territorio etiope. Ebbe solo il tempo di salire nella nave, in quella buia notte, e di mettersi nella camera prima di essere affondato dagli aerei Alleati. A quel punto la paura di morire fece si che si ricordasse, in un solo momento, tutte le raccomandazioni fatte dall’ufficiale in carica: “Se cadete in acqua allontanatevi dalla nave altrimenti sarete portati a fondo”- oppure - “Cercate di aggrapparvi a qualcosa che galleggi come un pezzo di legno o una scheggia di nave”- e ancora - “Buttatevi in acqua se venissimo attaccati”. C’era un unico problema cioè il mio bis-nonno non sa e non sapeva nuotare, nonostante questo si tuffò a capofitto per sfuggire alla fiamme, cercò di dimenarsi, si fece una bevuta di acqua marina gelata e poi fu salvato dall’amico che afferrandolo per la caviglia lo fece attaccare ad una tavola di legno. I soldati erano morti o feriti, pochissimi di loro erano rimasti incolumi e nonostante questo rischiavano di morire di ipotermia perché il freddo mare di dicembre colpisce e non perdona. Si trovarono lontani dalla costa, trasportati dalla corrente, in mezzo ad una tempesta e lì restarono per circa 24 lunghissime e freddissime ore fino all’arrivo della nave ospedaliera che soccorse i pochi sopravvissuti. Intanto, a Santa Maria, la mia bis-nonna Ida Gazzella veniva a sapere dal parroco della distruzione della nave sulla quale si era imbarcato il suo sposo, fortunatamente la fiducia di Ida nel marito continuò ad essere la stessa fino al giorno del suo ritorno. Se da una parte il freddo e il gelo invernali furono una disgrazia, dall’altra vennero visti da Settimio come un vero e proprio miracolo, infatti quando salì sulla nave di salvataggio gli fu ritrovata una scheggia di metallo conficcata lungo tutta la parte destra della schiena. Fino ad allora non si era accorto di nulla, il gelo si aveva bloccato l’emorragia e l’adrenalina aveva annullato il dolore. Nonostante la brutta ferita rimase in convalescenza per non più di una settimana, servivano rinforzi a Torino. Viaggiò per tre giorni e tre notti in treno portando sempre il borsone in mano invece che in spalla come gli altri, proprio di questo particolare si accorse il colonnello che lo stava aspettando. Quando venne a sapere della ferita che portava decise di mandarlo in ospedale perché secondo lui la convalescenza che gli avevano precedentemente dato non era sufficiente per una pronta guarigione. Successivamente all’ospedale gli fu concesso un mese di riposo e poté tornare a casa per il Natale 1942. Lì rivide per la prima volta, dopo tanto tempo, l’amata Ida che lo accolse felice del suo ritorno. Finito il mese di riposo e di svago dovette tornare a combattere per via di un comandante di Perugia un po’ troppo attento alle raccomandazioni. Questa volta ebbe un incarico relativamente più importante, fu spostato in Val d’Aosta nella parte più abitata del Monte Bianco, lì dovette servire gli uomini di fiducia di Mussolini. In quel posto resterà solo per pochi mesi, fino all’arresto del Duce, da allora iniziò a dare la caccia, come tutti gli altri soldati italiani antifascisti, ai soldati del dittatore e ai suoi sostenitori o ufficiali. Tornerà definitivamente a casa nel Natale 1943 per la malattia della madre, da quell’anno non ripartirà più. Prima di partire il colonnello fece lui una raccomandazione :”Passeri stia attento ai bombardamenti e si ricordi che se non arrivano prima delle 22 non arrivano proprio”. Purtroppo non tutti i ricordi sono rimasti intatti uno di questi è la motivazione dell’orario così preciso dato dal colonnello, insieme abbiamo pensato al buio della notte ma questa è solo una supposizione. Tornò a casa e riprese la vita da contadino con qualche fastidioso soldato fascista che rubava le pecore e con la paura dei tedeschi che vagavano allora per le terre. In quel tempo conobbe il gruppo di partigiani di Palazzo un paesello qui vicino che più volte gli chiesero aiuto visto il suo addestramento e la sua preparazione con le armi, ma non furono accontentati, troppa era la paura di tornare a quello che era stato, di tornare a combattere rischiando di perdere di nuovo tutto come era già accaduto in quella fatidica notte, in più ora aveva una bimba piccola non poteva rischiare di lasciarla senza un padre e senza una sicurezza finanziaria. Da lì continuò a vivere nella monotonia dei giorni sotto i tedeschi fino al giorno della liberazione, senza lamentarsi né smettere di lavorare o ribellarsi, oramai troppo aveva da perdere. Il racconto si conclude qui perché quello che accadrà poi non riguarda la guerra, penso che tutti avranno capito a grandi linee cosa potesse essere trovarsi in un altro mondo sconosciuto ed andare a combattere senza neanche conoscere le cause. I ricordi del mio bis-nonno sono impressi nella sua mente a causa del dolore che ha visto  e che lui stesso ha provato rischiando di morire più volte. Questi racconti mi hanno aiutato a capire cosa volesse dire vivere senza vedere la famiglia o le persone care come gli amici, cosa volesse dire vivere con dei compagni che poi potresti veder morire, mi ha insegnato cosa volesse dire la frase combattere per non combattere più, in poche parole ho capito cosa vuol dire fare una Vita da Soldato.

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THE FACTS

La guerra d’Etiopia, anche detta guerra d’Abissina, fu condotta dall’Itala fascista contro l'Impero di Etiopia, a partire dal 3 ottobre 1935.La guerra si concluse dopo circa sette mesi di combattimenti con la sconfitta totale etiope e con l'assunzione della corona imperiale da parte di re Vittorio Emanuele III nel 9 maggio 1936, per la prima volta nella storia l’Etiopia perse l’indipendenza. Le caratteristiche che rendono crudele e cruenta questa guerra sono principalmente la decisione presa dal Duce Benito Mussolini che autorizzò l’uso delle armi chimiche nelle città e la risposta sanguinaria dell’Italia alla tenace resistenza etiope degli arbegnuoc. La situazione rimase così fino ai primissimi mesi del 1941 quando, pur di sfondare le barriere dell’Asse, i britannici appoggiarono il governo sottomesso etiope e lo aiutarono militarmente a riprendere l’indipendenza. Dopo questa dichiarazione di guerra alle truppe italiane e a quelle dell’Asse, Hitler fu costretto a scendere con le armate e a cambiare i suoi piani mentre Mussolini iniziò a mandare giovani, anche non addestrati, allo sbaraglio in una terra sconosciuta e ostile, di questi tanti giovani faceva parte il mio bis-nonno. Le morti furono tante, le battaglie furono estenuanti e si ebbe un primo momento, prima della vittoria degli Alleati, in cui sembrava che la Germania e i tedeschi potessero sorreggere quasi da soli il peso dei più grandi eserciti. Il governo etiope rimase però non ufficiale fino al 10 febbraio 1947, circa due anni dopo la fine della guerra.

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